Perdita di chance lavorative derivanti da sinistro stradale

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Il Giudice di merito ritiene mancante la prova inerente lo svolgimento di una attività lavorativa produttiva di reddito, anche a titolo di perdita di chance.

Il caso

Alla danneggiata dal sinistro stradale veniva liquidato l’importo risarcitorio di oltre 160.000 euro e veniva escluso il reclamato danno patrimoniale da perdita o riduzione della capacità lavorativa.

Tale rigetto avveniva per mancanza della prova dello svolgimento di un’attività lavorativa produttiva di reddito neppure a titolo di perdita di chanceLa danneggiata non aveva dimostrato che, pur non avendo potuto sostenere l’esame di Stato per l’iscrizione all’albo dei geometri, avrebbe continuato ad essere impedita dai postumi invalidanti permanenti ad intraprendere tale carriera o, comunque, avrebbe superato l’esame e intrapreso con successo l’attività professionale.

La donna propone ricorso per cassazione e la S.C., in accoglimento di tale censura con ordinanza n. 26850 del 14/11/2017, ha cassato con rinvio la sentenza d’appello, avendo ritenuto che, con la descritta ratio decidendi, essa aveva violato i principi di diritto inerenti il danno futuro patrimoniale.

Ha infatti osservato la Cassazione che “in tema di danni alla persona, l’invalidità di gravità tale (nella specie, del 25%) da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al Giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 cod. civ” (Cass. 12 giugno 2015, n. 12211).

La liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio (Cass. 14 novembre 2013, n. 25634). Il Giudice di merito, escludendo in partenza il danno patrimoniale per il sol fatto della mancata prova di uno svolgimento dell’attività lavorativa, non ha adeguatamente compiuto l’accertamento presuntivo in ordine alla riduzione della perdita di guadagno nella sua proiezione futura, imposto dall’entità dei postumi, anche in termini di perdita di chance.

Ebbene, pronunciandosi in sede di rinvio, la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 3253/2019, ha riconosciuto il diritto all’ulteriore somma di 20.000 euro, liquidata equitativamente a titolo di danno patrimoniale da perdita di chance ed espressa in valori attuali, in essa comprendendo anche il danno da ritardo.

Avverso tale sentenza la danneggiata propone, nuovamente, ricorso per cassazione. Rileva che, diversamente da quanto affermato in sentenza essa ha sempre chiesto sia la liquidazione del danno da perdita di chance, sia il danno inerente alla diminuita capacità reddituale lavorativa specifica.

Le censure sono fondate. Dalla motivazione della ordinanza di Cassazione con rinvio del 2017 sopra menzionata si evince:

  • a) in quella sede la ricorrente si era lamentata del rigetto, motivato dalla mancata prova dello svolgimento di un’attività lavorativa produttiva di reddito, della sua domanda di risarcimento del danno patrimoniale rappresentato dalla perdita o riduzione, in conseguenza della patita lesione del diritto alla salute con invalidità permanente del 25%, della capacità di guadagno;
  • b) quella censura venne accolta sul rilievo che, in violazione dei principi in materia, il Giudice di merito aveva omesso di compiere il consentito “accertamento presuntivo in ordine alla riduzione della perdita di guadagno nella sua proiezione futura, imposto dall’entità dei postumi, anche in termini di perdita di chance”.

Erano questi i due punti di rimessione al Giudice di Appello del rinvio. Ebbene è chiaro che era ricompresa anche la rivalutazione della fondatezza della pretesa risarcitoria del danno alla capacità di guadagno. Quindi è errato che la donna abbia inteso insistere unicamente sulla “liquidazione in termini equitativi del danno patrimoniale da perdita di chance” e non anche da perdita di reddito (futuro sì, ma effettivo e non meramente sperato).

Oltretutto, nel giudizio di riassunzione, le parti mantengono le medesime posizioni che avevano assunto nel previo giudizio di appello, allo scopo di riattivare il giudizio. Ciò detto, è evidente che per poter desumere dalle conclusioni dell’atto di riassunzione una “rinuncia” alla domanda formulata nella precedente fase del giudizio o a parte di essa (il rigetto della quale era stato ritenuto dalla S.C. erroneo e per tal motivo la sentenza cassata con rinvio), occorrerebbe una formale e univoca dichiarazione di rinuncia, nella specie nemmeno ipotizzata in sentenza e comunque certamente non ricavabile dall’atto.

Venendo alla perdita della capacità lavorativa specifica, secondo quanto espressamente affermato in sentenza, l’invalidità permanente derivante dall’evento dannoso, “sia per l’entità” (25%), sia “per la specifica lesione cui si riferisce (menomazione del patrimonio psico-cognitivo con calo della memoria di fissazione, come accertato dal C.T.U. senza contestazioni delle parti), è di gravità tale da consentire alla vittima la possibilità di attendere solo parzialmente ad un lavoro di tipo intellettuale, quale quello cui legittimamente aspirava, come provato in via presuntiva dal conseguimento del diploma di geometra e dall’iscrizione alla sessione unica per l’anno 2000 del relativo esame di abilitazione”.

In tal modo il Giudice di rinvio ha compiuto la valutazione secondo ragionamento presuntivo che l’ordinanza cassatoria (del 2017 sopra citata) gli aveva demandato di fare, censurando la sentenza d’appello che invece non l’aveva fatta.

Sulla correttezza del quantum, viene rammentato che in ipotesi, quale quella di specie, di invalidità permanente (parziale) causata ad una persona che, al momento dell’evento dannoso, non svolgeva ancora attività lavorativa, “il danno da risarcire, che … consiste nel minor guadagno che l’infortunato percepirà in futuro rispetto a quello che otterrebbe se la sua capacità lavorativa non fosse stata menomata, va determinato (in relazione alle dette conseguenze limitative) con una valutazione approssimativa dei redditi che il danneggiato potrebbe realizzare se non fosse intervenuto l’evento dannoso, basata quindi su una situazione oggettiva già in atto e tale da costituire l’ordinaria causa efficiente dell’incremento patrimoniale … e così con riferimento al tipo di attività lavorativa che presumibilmente il soggetto eserciterà nel futuro: spettando al giudice del merito di accertare quel tipo di attività con criterio di probabilità tenendo conto della posizione sociale ed economica del danneggiato (e della sua famiglia) e delle correlative possibilità di scelta secondo l’id quod plerumque accidit … ed in concreto, quindi, del tipo di studi intrapresi e degli esiti raggiunti da danneggiato con il progredire dell’età e con lo sviluppo o meno degli studi o di una specifica preparazione professionale anche con riguardo alla situazione esistente al momento della decisione” (Così Cass. 11/05/1989, n. 2150; nello stesso senso, v. Cass. 17/01/2003, n. 608; 16/02/2001, n. 2335; 1/07/1998, n. 6420).

Alla luce di tali criteri, l’individuazione, nel caso di specie, della base reddituale cui rapportare, ai fini della liquidazione, il danno rappresentato dalla accertata incidenza riduttiva della menomazione sulla futura capacità di guadagno, era quello medio di un geometra, abilitato alla professione. Sotto tale profilo, è corretto il ragionamento operato in sentenza dal Giudice del rinvio in cui pone a base del calcolo “lo scarto tra il reddito annuo medio di un geometra libero professionista (euro 24.293,34: calcolato devalutando all’epoca del sinistro l’importo corrispondente indicato) e quello di un geometra dipendente (euro 8.328,97: calcolato ragguagliando all’anno l’importo corrispondente alla ritardata assunzione)”.

È invece errata la sentenza impugnata nella parte in cui considera quale ulteriore fattore di riduzione del risarcimento il fatto che il danno sia rappresentato dalla perdita di una mera chance lavorativa e non del reddito effettivo. Il danno da perdita o riduzione della capacità di guadagno, ove accertato – come nella specie – nei suoi presupposti ed elementi costitutivi, è danno da lucro cessante, bensì futuro ma comunque certo, non meramente sperato (chance), rappresentato dalla impossibilità, conseguente alle menomazioni, di ottenere nel tempo quegli introiti o utilità che il danneggiato avrebbe con ragionevole certezza altrimenti conseguito.

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